giovedì 11 marzo 2010

AZTEC CAMERA

Roddy Frame e la rinascita del pop sentimentale

Aztec Camera, tradotto letteralmente “macchina fotografica azteca” (nome ispirato da una scoperta archeologica, un reperto della civiltà precolombiana), è il gruppo dell’"enfant prodige" Roddy Frame, scozzese di Glasgow, “folksinger” dall’abbigliamento dimesso e dal carattere timido, che fonda la band nel 1980 a soli 16 anni. In una generazione sconvolta dal punk, Frame vuole riportare in auge la canzone romantica e la chitarra acustica in un pop morbido e innocuo che guarda agli anni ’60, segnando la nascita del "twee pop" scozzese.

Tra il 1981 e il 1982 vedono la luce tre singoli, i primi due per la neonata etichetta Postcard (Just Like Gold, Mattress Of Wire e Pillar To Post) che anticipano il primo album High Land Hard Rain (Sire, 1983), che fonde il folk, la canzone romantica e ambientazioni esotiche di gusto sudamericano (Walk Out To Winter, Release). Frame ha registrato il disco a Londra, dove ha sistemato il suo nuovo quartier generale insieme al bassista Campbell Owens, il batterista Dave Ruffey e il tastierista Bernie Clark. Con il secondo album Knife (Sire, 1984) la musica non cambia di molto, con le solite canzoncine retrò (Back Door To Heaven) e qualche buona intuizione (Knife, probabilmente il miglior pezzo mai scritto da Frame), che celebrano le incertezze romantiche degli adolescenti sfuggiti al delirio punk di qualche anno prima. Ma è del 1988 l’esplosione del nome Aztec Camera: l’album Love (Sire), forte di una formazione stravolta e con Frame praticamente “primadonna” del progetto musicale, balza in testa alle classifiche grazie ai singoli Somewhere In My Heart e How Men Are. Il disco vende milioni di copie e Frame, preso da impeto megalomane, organizza un tour portando sul palco ben nove musicisti. Ma il suo pop-soul privo di spina dorsale non sarà un buon viatico per entrare negli annali della storia del rock, nonostante gli sforzi per recuperare un po’ di verve con gli album Stray (Sire, 1990), Dreamland (Sire, 1993), con Ryuichi Sakamoto alla produzione, e l’ultimo Frestonia (Reprise, 1995), vano tentativo di allinearsi alle giovani bands brit-pop, lontane oramai anni luce.
Gli Aztec Camera, a dispetto delle buone premesse maturate a Glasgow, non hanno saputo capitalizzare il momento favorevole, abbandonandosi al facile ascolto e, in eterna ricerca di un’identità mai trovata, ponendosi sempre un gradino sotto le bands pop-revival degli anni ’80.



Discografia:
High Land Hard Rain (Sire, 1983)
Knife (Sire, 1984)
Love (Sire, 1988)
Stray (Sire, 1990)
Dreamland (Sire, 1993)
Frestonia (Reprise, 1995)



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martedì 5 maggio 2009

ULTRAVOX - Systems Of Romance (1978)

John Foxx e il rock del futuro
Gli Ultravox sono ricordati per il techno-pop commerciale che ha loro fruttato tanta fama (e soldi) nella prima metà degli anni '80. Grazie a canzoni come "Vienna", "The Voice", "Hymn" e "Dancing With Tears In My Eyes", hanno scalato con successo le classifiche internazionali, imponendosi all'attenzione dei media con il proprio look e i raffinati videoclip. Pochi sanno che, prima di allora, gli Ultravox confezionarono tre album seminali che hanno condizionato tutta la new wave a venire. Alla voce John Foxx, che nel 1979 lascerà il microfono a Midge Ure per intraprendere una carriera solista ricca di spunti felici, ma povera di riscontri commerciali. "Systems Of Romance" (1978) è l'ultimo di questi tre albums, il più sottovalutato ma probabilmente il più innovativo del lotto. Fondendo il rock decadente dei '70 (Bowie, Roxy Music) e l'elettronica tedesca (Kraftwerk, Neu!) il disco inaugura un'epoca, regalandoci la prima gemma della nuova onda. Meno oscuro del precedente "Ah! Ah! Ah!", punta molto sulla sperimentazione dei nuovi suoni elettronici delle tastiere, a tratti ruvide, a tratti cristalline. John Foxx cede nel cantato alle sue passioni romantiche, ma emerge in più di un episodio quel recitativo asettico che svilupperà successivamente nel suo primo lavoro solistico "Metamatic". La batteria è una delle novità più importanti: abbandonati tutti i fronzoli, porta il ritmo in maniera robotica, privilegiando gli intrecci simmetrici cassa/rullante (con prevalenza del primo tamburo) precorrendo la nascita dei ritmi techno-pop. Il bassista Chris Cross si alterna tra il suo strumento e i synth, con i quali accompagna sovente la ritmica al posto del suo 4 corde. Insomma, nel 1978 gli Ultravox hanno creato il rock del futuro.

Pubblicato sul finire dell'anno sempre dalla Islands, le tendenze innovative di "Systems Of Romance" si notano già dal nome della band, dove è andato perduto il punto esclamativo, come a dire che gli Ultravox hanno smesso di urlare e sono interessati più a ricamare con i suoni nuove ardite trame. "Slow Motion", posta in apertura, è forse il manifesto di tutto il disco: splendidi intrecci di chitarre e ruvide tastiere, accompagnano il cantato ultra-romantico di Foxx, su una ritmica ordinata ed un profondo basso synth. Uscito come singolo, avrebbe potuto essere l'hit della new wave, ma il fato (e il music bussiness) hanno deciso diversamente. "I Can't Stay Long" e "Someone Else's Clothes", sulla falsariga di "Slow Motion", propongono un sound moderno grazie alle magiche acrobazie chitarra/sintetizzatore sulla solita impeccabile base ritmica. "Blue Light" è tesa, con la sua chitarra stridente, ma il suono cristallino delle tastiere e la voce suadente di Foxx ci ricordano che questo è l’album romantico degli Ultravox. Piena di brio, “Some Of Them” concilia sapientemente il rock vecchio stampo con le nuove tendenze della new wave. "Quiet Men" è un brano “manifesto” del sound Ultravox: qui la ritmica è affidata ad una drum machine che duetta mirabilmente col basso sintetico di Cross, c’è la chitarra graffiante di Simon e uno degli assoli di sintetizzatore più celebri di Currie. Sopra tutto la voce di Foxx: è lui un “quiet man”, un uomo assillato dal successo mediatico e con la voglia di tirarsi fuori dalla mischia? Sicuramente si e lo dimostrerà presto abbandonando la nave. “Dislocation” è il più sperimentale dei pezzi dell’album, con una drum machine dall’incedere minaccioso, tastiere gravi e cori dall’oltretomba, la voce asettica e distaccata. Non ci sono le chitarre, quasi ad anticipare il primo album solista di Foxx “Metamatic”, dove lo strumento sparirà definitivamente. “Maximum Acceleration” e “When You Walk Through Me” hanno melodie irresistibili, ultraromantiche e tutt’altro che scontate. Chiude l’album “Just For A Moment”, cantato struggente su tappeti cristallini di tastiere, lenta ed evocativa, il miglior finale per questo disco-capolavoro.

La versione rimasterizzata, oltre ad apportare indiscutibili miglioramenti nella qualità dell’audio, ci regala anche due pezzi in più, “Cross Fade”, in origine lato B del secondo singolo estratto dall’album "Quiet Men", ed una versione rimixata della stessa "Quiet Men", più lunga dell’originale e con interessanti innesti di percussioni elettroniche. Brani come "Slow Motion", "Quiet Men" e "Maximum Acceleration" avrebbero meritato certamente maggiore fortuna, ma il destino ha deciso diversamente ed a beneficiare di queste splendide intuizioni saranno i seguaci del nuovo sound, Gary Numan, New Order e Depeche Mode su tutti.


Tracklist:
1.: Slow Motion
2.: I Can't Stay Long
3.: Someone Else's Clothes
4.: Blue Light
5.: Some Of Them
6.: Quiet Men
7.: Dislocation
8.: Maximum Acceleration
9.: When You Walk Through Me
10.: Just For A Moment
11.: Cross Fade (bonus track)
12.: Quiet Men (bonus track/full version)

Ultravox:
John Foxx - voce
Billy Currie - tastiere
Chris Cross - basso
Robin Simon - chitarra
Warren Cann - batteria

Discografia:
Ultravox! (Islands, 1977)
Ah! Ah! Ah! (Islands, 1977)
Systems Of Romance (Islands, 1978)Three Into One (antologia, Islands, 1980)


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venerdì 1 maggio 2009

THE CURE - Join The Dots: B-Sides And Rarities 1978-2001

L'altra faccia dei The Cure
The Cure è un gruppo musicale inglese che ha attraversato indenne quasi trent'anni di storia del rock contemporaneo, capitanato dal cantante-chitarrista Robert Smith. Nascono sul finire dei '70 ed esordiscono nel 1979 con l'album "Three Imaginary Boys", figlio del punk, ma dalle trame tenui e raffinate. Poi il periodo "gothic" ("dark" in Italia) dei tre albums successivi, "Seventeen Seconds", "Faith" e "Pornography", fino a giungere al pop che li porterà in vetta alle classifiche di tutto il globo ed a segnare in modo indelebile il sound degli anni '80. "Join The Dots" è l'altra faccia dei Cure, cioè un elegante cofanetto di quattro cd, cartonato e completo di libretto fotografico, contenente tute le B-sides degli ormai scomparsi 45 giri. E scopriamo che l'ispirazione dei nostri non è venuta mai meno, nemmeno quando si trattava di riempire un lato B: pezzi come "I'm Cold", "Just One Kiss", "Breathe", "Babble" o "It Used To Be Me" non hanno nulla da invidiare al titolo principale dei rispettivi singoli.

Il primo cd è sicuramente il più interessante, rappresentando la fase più ispirata e suggestiva della vita della band che va dal 1979 al 1985. Buona parte dei brani era già comparsa sul lato B della cassetta "Standing On A Beach - The Singles" (1986), che qui possiamo riascoltare in versione rimasterizzata. Troviamo le B-sides dei primi, acerbi singoli, ma non per questo privi di fascino, con in formazione il primo storico bassista Michael Dempsey. L'arrivo del bassista Simon Gallup coincide con l'inizio della fase "gotica", che su questo cd ha il suo culmine nella splendida "Splintered In Her Head". Un pop frizzante ed intelligente caratterizza le restanti tracks, dopo che i The Cure decidono di abbandonare le atmosfere "noir" a favore di soluzioni più aperte alle contaminazioni. Un gradino sotto il secondo cd (1987-1990), sebbene contenga ancora splendide songs. In particolare quelle del periodo "Disintegration", che rimarcano la straordinaria forma dei musicisti nel 1989 ("Babble", "Out Of Mind", "Fear Of Ghosts"). Un po' sbiadide le songs del periodo "Kiss Me Kiss Me Kiss Me", forse a causa dell'iper-produzione di materiale nel 1987 (un doppio LP e ben quattro singoli), troviamo tuttavia alcune ottime composizioni come "Breathe", "Japanese Dream" e "Hey You-remix". Una incredibile versione di "Hello I Love You" dei The Doors chiude felicemente il cd.

Qualità decrescente nel terzo e quarto cd (dal 1992 ad oggi), che viene a coincidere con la crisi creativa della band nel dopo "Wish" (1992), crisi non ancora risolta. Non tutto è da buttare, intendiamoci. Sul terzo cd ci sono l’affascinante "Burn", tratta dalla colonna sonora del film "Il Corvo", e le romanticissime "This Twilight Garden", "Play", "It Used To Be Me" e "Adonais". Trascurabile la scaletta del quarto cd, dove il gruppo arranca in cerca di una identità oramai perduta: Smith e soci non riescono più a trovare ispirazione né nel proprio passato, né nella musica del presente, lasciando l’amaro in bocca in più di un’occasione. Il libretto interno è molto colorato, pieno di bellissime foto sia del gruppo, sia dei singoli pubblicati dagli esordi fino ai nostri giorni. Il testo è in inglese. L'opera è certamente consigliata ai fans più sfegatati della band, gli unici forse disposti a sborsare la quarantina di euro necessari all'acquisto, ma, se avete amato i Cure e la new wave degli '80, questo cofanetto non potrà mancare nella vostra collezione.


Tracklist disc 1
1.: 10:15 Saturday Night 2.: Plastic Passion 3.: Pillbox Tales 4.: Do The Hansa 5.: I'm Cold 6.: Another Journey By Train 7.: Descent 8.: Splintered In Her Head 9.: Lament (flexipop version) 10.: Just One Kiss 11.: Dream 12.: Upstairs Room 13.: Lament 14.: Speak My Language 15.: Mr Pink Eyes 16.: Happy The Man 17.: Throw Your Foot 18.: New Day 19.: Exploding Boy 20.: Few Hours After This 21.: Man Inside My Mouth 22.: Stop Dead

Tracklist disc 2
1.: Japanese Dream 2.: Breathe 3.: Chain Of Flowers 4.: Snow In Summer 5.: Sugar Girl 6.: Icing Sugar 7.: Hey You (12\" extended remix) 8.: How Beautiful You Are 9.: To The Sky 10.: Babble 11.: Out Of Mind 12.: 2 Late 13.: Fear Of Ghosts 14.: Hello I Love You (unreleased psychedelic mix) 15.: Hello I Love You 16.: Hello I Love You (slight return mix) 17.: Harold And Joe 18.: Just Like Heaven (dizzy mix)

Tracklist disc 3
1.: This Twilight Garden 2.: Play 3.: Halo 4.: Scared As You 5.: Big Hand 6.: Foolish Arrangement 7.: Doing The Unstuck (unreleased 12\" version) 8.: Purple Haze (Virgin radio version) 9.: Purple Haze 10.: Burn 11.: Young Americans 12.: Dredd Song 13.: It Used To Be Me 14.: Ocean 15.: Adonais

Tracklist disc 4
1.: Home 2.: Waiting 3.: Pink Dream 4.: This Is A Lie (ambient mix) 5.: Wrong Number (P2P remix) 6.: More Than This 7.: World In My Eyes 8.: Possession 9.: Out Of This World (Oakenfold remix) 10.: Maybe Someday (acoustic mix) 11.: Coming Up 12.: Signal To Noise (acoustic version) 13.: Signal To Noise 14.: Just Say Yes (Curve remix) 15.: Forest (Mark Plati mix) - Cure & Earl Slick


martedì 21 aprile 2009

ULTRAVOX! - Ah! Ah! Ah! (1977)

Il battito animale della new-wave
La delusione commerciale del primo album, sebbene un capolavoro riconosciuto a postumi dalla critica, porta gli Ultravox! a spingere l'acceleratore sulla sperimentazione e ad abbracciare la causa punk per ciò che riguarda l'aggressività del sound e certe atmosfere asfittiche. In particolare emerge la personalità di Billy Currie, che con l'uso massiccio di sintetizzatori (Moog, Arp), determina il sound del disco e della band. Nessuno nella new wave ha più suonato le tastiere come lui, avendo studiato lo strumento partendo dalle esperienze di musicisti operanti in area "prog". Ma è soprattutto l'elettronica tedesca (Faust, Neu!, Kraftwek) ad ispirare i nostri, che la importano nel loro nuovo rock già collaudato su "Ultravox!". "Ah! Ah! Ah!" è l'ultimo album con Steve Shears alla chitarra, che passerà nelle mani di Robin Simon per la realizzazione dell'ultimo lavoro "Systems Of Romance".

Sul finire del 1977, a nemmeno un anno dalla pubblicazione del loro esordio, ecco arrivare nei negozi questo "Ah! Ah! Ah!", sempre per la Islands. John Foxx ha abbandonato il look "glam" della copertina di "Ultravox!" e si presenta dall'aspetto e dalle movenze selvagge, come nella migliore tradizione punk. Il disco parte a razzo con l'anthem "Rockwrok", che uscirà anche come singolo, ritmo mozzafiato e riff chitarristico ossessivo. "Frozen Ones" è annunciata da uno schioccare di dita e dalla voce in solitaria di Foxx, ma poi parte l'apoteosi strumentale sulla falsariga del brano d'apertura. "Fear In The Western World" è un terrorizzante groviglio di chitarre e sintetizzatori impazziti su ritmo punk che riprende nelle liriche il tema delle angosce dell'uomo moderno, già accennato nel disco d'esordio (i testi agghiaccianti caratterizzeranno tutto l'album). È in "The Man Who Dies Everyday" che è più evidente l'influenza del "kraut rock" tedesco: la ritmica è robotica, il cantato asettico, il sintetizzatore a decidere il tema principale, con echi di Kraftwerk dell'album "Trans Europe Express". "Artificial Life" è un crescendo micidiale di batteria e sintetizzatori, Currie non si risparmia e crea suoni pesantissimi con il suo moog, mentre Shears intreccia accordi e riff chitarristici toccando le vette più alte della sua espressività. Dopo tanto fragore, un delicato ma ossessivo pattern di drum machine introduce uno dei pezzi più celebri della band: "Hiroshima Mon Amour" è un balletto meccanico alla Brian Eno con sax dolce e cantato romantico, che chiude in maniera inaspettata il disco e consegna gli Ultravox! alla storia del rock.

Molti critici ritengono "Ah! Ah! Ah!" il miglior lavoro degli Ultravox!, in realtà è difficile fare una classifica di tre albums decisamente diversi l'uno dall'altro per un gruppo che ha saputo rinnovarsi e non si è mai risparmiato nel campo della sperimentazione. Sicuramente è il loro disco più aggressivo, che risente del clima dell'epoca (siamo in piena esplosione punk), sebbene il loro approccio al nuovo rock sia stato del tutto originale, sia nella costruzione dei brani, sia per le tecniche strumentali adottate. Purtroppo, con l'abbandono di John Foxx nel 1979 e la sua sostituzione con Midge Ure, la band raggiungerà il successo commerciale con dischi dalla qualità compositiva sempre più scadente ("Vienna" l'episodio migliore), fino ad uno scioglimento senza clamore sul finire degli anni '80. Più interessante la carriera solista di Foxx, che passerà da sperimentatore elettronico a raffinato interprete di splendide canzoni techno pop ("Metamatic" e "The Garden" gli album più riusciti).


Tracklist "Ah! Ah! Ah!" :
1.: Rockwrok
2.: Frozen Ones
3.: Fear In The Western World
4.: Distant Smile
5.: The Man Who Dies Everyday
6.: Artificial Life
7.: While I'm Still Alive
8.: Hiroshima Mon Amour

Ultravox!:
John Foxx - voce
Billy Currie - tastiere
Chris Cross - basso
Steve Shears - chitarra
Warren Cann - batteria

Discografia:
Ultravox! (Islands, 1977)
Ah! Ah! Ah! (Islands, 1977)
Systems Of Romance (Islands, 1978)
Three Into One (antologia, Islands, 1980)



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